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Grandi toscani. Piero della Francesca, monarca della pittura

Dopo Michelangelo e Modigliani, continua la rubrica di Vivere la Toscana dedicata ai Grandi Toscani con Piero della Francesca (1415c.a.-1492), importante maestro del Quattrocento. L’artista, originario di Borgo Sansepolcro (AR), è considerato uno dei più grandi pittori italiani. Alcuni lo definiscono “maestro della luce”, altri “maestro dell’affresco”, il suo concittadino Luca Pacioli lo definì nel 1494 “monarca della pittura”.
Per molti secoli alle opere del pittore toscano non fu attribuito il giusto valore. Dopo la sua morte, Piero della Francesca fu menzionato soltanto da Vasari nelle “Vite” (1550; 1568) e in alcuni trattati di architettura del Cinquecento. I capolavori del pittore di Sansepolcro furono considerati obsoleti con l’avvento della “maniera moderna”, che ebbe come protagonisti Leonardo, Raffaello e Michelangelo. È stato grazie al movimento “pre-raffaellita” nell’Ottocento e poi nel Novecento che l’arte di Piero della Francesca è stata riscoperta e studiata. Le regole della prospettiva sono rigorosamente applicate nelle sue opere pittoriche, ma il rigore matematico non attenua la carica espressiva né la forza narrativa, anzi rappresenta in modo perfetto la sacralità dei temi religiosi o l’austerità dei soggetti civili.
Nato da Benedetto de’ Franceschi, mercante di lane e cuoiami, e da Romana di Perino, Piero fece il suo primo apprendistato pittorico a Borgo Sansepolcro presso la bottega del meno noto Antonio d’Anghiari. Nel 1439 il giovane Piero affiancò Domenico Veneziano a Firenze per la realizzazione degli affreschi con le “Storie della Vergine” per il Coro della chiesa di Sant’Egidio.
Dal 1440 c.a. Piero della Francesca alternò soggiorni presso la città natale, dove dal 1445 al 1462 si occupò di dipingere il grande Polittico della Misericordia (Sansepolcro, Museo Civico), a soggiorni presso le principali corti dell’Italia centro-settentrionale. Fu a Ferrara presso il marchese Leonello d’Este, uno dei più raffinati mecenati del Rinascimento, per realizzare gli affreschi del Castello estense (purtroppo andati persi) e nella chiesa di Sant’Agostino. Nel 1451 dipinse l’affresco raffigurante Sigismondo Pandolfo Malatesta in adorazione di San Sigismondo all’interno del Tempio Malatestiano di Rimini. Il ritratto del condottiero malatestiano fu poi replicato di profilo nella tavola oggi conservata al Museo del Louvre.
Nel 1452, anno della morte dell’artista fiorentino Bicci di Lorenzo, Piero della Francesca accettò di proseguirne l’opera nella Cappella Maggiore della basilica di San Francesco ad Arezzo. Il ciclo di affreschi de’ “Le Storie della Vera Croce”, che impegnò l’artista fino al 1466, è considerato uno dei massimi capolavori della pittura rinascimentale italiana.
All’inizio degli anni sessanta risalgono altre opere di grande sensibilità artistica come la “Madonna del parto”, realizzata per la cappella del cimitero di Monterchi, paese di cui era originaria la madre di Piero; e la “Resurrezione” nella Sala dei Conservatori della Residenza, all’interno del Palazzo Comunale di Sansepolcro (oggi sede del Museo Civico), opera definita dallo scriresurrezione_piero_della_francescattore contemporaneo Aldous Huxley «la più bella pittura del mondo».
Negli anni sessanta e settanta del XV secolo il pittore toscano strinse rapporti con la corte di Urbino. Per il duca Federico da Montefeltrol’artista dipinse alcuni dei suoi più celebri capolavori, tra i quali il dittico con i ritratti dei duchi, Federico e la moglie Battista Sforza (oggi conservato a Firenze nella Galleria degli Uffizi) e la “Flagellazione” (Urbino, Galleria Nazionale dell’Umbria), il “rivoluzionario” ritratto in armatura del duca Federico (1472-74).
Durante gli anni urbinati Piero della Francesca si dedicò anche alla stesura di alcuni trattati teorici, tra cui il Trattato dell’Abaco, una sorta di manuale di matematica di base, ed il “De prospectiva pingendi”, interessante guida alla prospettiva. La perfezione delle forme, la luminosità e la raffinatezza dei colori, caratterizzano i grandi capolavori che ci ha lasciato il “monarca della pittura”: i grandi affreschi di Arezzo, di Borgo San Sepolcro e di Monterchi, le splendide opere di Urbino e le tavole oggi conservate a Londra, a Parigi e a Firenze.
Divenuto cieco negli ultimi anni di vita, privato del piacere di ammirare ciò che oggi lo rende tanto eccelso, l’artista toscano morì nella città natale il 12 ottobre 1492.

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