Per secoli il “Ponce” alla livornese è stato conforto degli animi depressi, degli stati febbrili che non avevano altro rimedio perché il dottore costava ‘vaini (quattrini) e ‘vaini “un ce n’erano mai”.
Questa è la leggenda della nascita del “ponce alla livornese”.
Verso la metà del 1600 Livorno era Porto Franco, godeva in pratica di sgravi daziali e di franchigie che lo avevano reso scalo appetibile per merci e paesi di ogni genere.
Si narra che verso la fine del ‘600 o i primi anni del ‘700 un vascello proveniente dalle Americhe approdasse, in bruttissime condizioni, in porto. Trasportava balle di caffè e barilotti di rhum.
Durante il viaggio i barilotti di rhum si erano irrimediabilmente rotti riversando il loro contenuto sulle balle di caffè, annullando così il loro valore commerciale.
Le balle di caffè, irrimediabilmente “rovinate” dall’accidente, furono messe in vendita a prezzo stracciatissimo sulle banchine del porto.
I portuali, che il caffè se lo sarebbero potuto solo sognare, colsero l’occasione al volo e scoprirono quanto di buono c’era in quella strana mescolanza.
La bevanda prese piede e cominciò ad essere servita anche nei pubblici esercizi.
L’ igiene non era certo di casa a quei tempi, e per rendere il servizio più gradevole e sicuro, si usava strusciare con una buccia di limone il bordo del bicchiere.
Ahimé, al termine dell’operazione in qualche modo “disinfettante”, la buccia veniva buttata direttamente nella bevanda calda, conferendole quel sapore particolare.
Nei casi più “chic” veniva lasciata infilzata sul bordo del bicchiere perché se ne potesse fare l’uso più consono ai gusti.
La buccetta di limone prendeva allora il nome di “vela” perché come una vela sovrastava la bevanda.
Ecco, secondo i ricordi, la leggenda, tutta livornese, del “ponce a vela”.