Siamo sulle pendici dell’ Amiata, terra di leggende, di santi, di briganti, di profeti, di culti antichi e ormai dimenticati.
Una terra splendida e arcigna, come il vulcano apparentemente spento sul quale si appoggiano paesi di pietra scura e che, nel profondo è ancora vivo, come testimoniano le fonti calde che alimentano le terme o i vapori imbrigliati dalle centrali geotermiche. L’Amiata è un luogo magico e misterioso, come pochi altri.
Fra le innumerevoli leggende, vi è quella che narra che, molto tempo fa, vi era un giovane pastore che pascolava le sue pecore al limite di una zona boscosa. Il tempo pareva non passare mai. Allora, per ingannare il tempo, il pastore si mise ad intagliare un grosso ramo che gli sembrava adatto allo scopo. Anzi, ispirato forse anche dalla forma del pezzo di legno, pensò di rappresentare l’immagine della Madonna con il Bambino che aveva avuto occasione di vedere tante volte in chiesa. Poi, forse non contento di come stava venendo il suo lavoro, gettò il pezzo di legno nel fuoco. Ma rimase sbalordito per la voce supplicante e femminile che udì immediatamente uscire dalle fiamme: “Ti prego, non mi bruciare! Non mi bruciare!”. Era la voce della Vergine, la riconobbe. Il giovane pastore, spaventato spense immediatamente il fuoco e corse in paese ad avvertire il parroco.
Un’altra versione ugualmente accreditata, racconta invece come il giovane pastore, con il suo gregge, venisse sorpreso da un furioso ed improvviso temporale. Non sapendo che fare, tanta era la furia degli elementi, pensò di trovare rifugio sotto le ampie chiome di un grande albero. Scelta decisamente sbagliata, come si sa, in questi casi. Ed infatti ben presto una scarica violentissima di fulmini si scaricò a pochissimi passi dall’ incauto pastore, abbattendo d’un solo botto una secolare quercia.
L’uomo poteva davvero ringraziare la sua buona sorte. O forse qualcosa di più, come dovette constatare, osservando più da vicino la pianta schiantata. La folgore, infatti, dell’intero albero, aveva risparmiato solo un ramo, ma scolpendolo in maniera prodigiosa, ricavandovi chiaramente la santa immagine della Vergine con il Bambino.
Non sappiamo quale delle due leggende sia quella più antica ed attendibile. Entrambe, tuttavia, sono probabilmente sorte per spiegare come mai la venerata statua in legno della Vergine Maria, da molti secoli custodita all’ interno della piccola pieve di Santa Maria ad Lamulas presentasse evidenti tracce di bruciature sulla parte posteriore.
Eppure, i prodigi non erano ancora terminati. La comunità di Montelaterone che, fra grandi festeggiamenti, portò l’effigie della Vergine nella propria chiesa parrocchiale. Il mattino seguente, però, venne ritrovata dai paesani increduli nel bosco d’origine. Essi, testardi come si conviene a dei montanari, la riportarono nella loro chiesa. Niente da fare. Alla fine, gli abitanti di Montelaterone si dovettero arrendere alla evidente volontà della Vergine. Decisero allora di costruire, nel luogo dov’era precipitato il fulmine e che la Madre di Dio dimostrava chiaramente di voler preferire, una cappella che poi divenne una chiesa: la pieve di Santa Maria ad Lamulas, appunto. Un nome strano, ma di probabile ascendenza latina. Un nome sicuramente indigesto ai montanari che, come tutti sanno, non si sono mai dilettati particolarmente negli studi classici. Ed ecco, allora, che l’originale “Làmulas” (con l’accento sulla prima “a”) si trasformò nel tempo in “Lamùlas” (con l’accento sulla “u”), se non addirittura, per assonanza, in “La Mula”. Tanto che per giustificare questo nome, gli amiatini, giunsero a coinvolgere nelle prodigiose vicende della statua della Vergine anche questo umile ma dignitosissimo animale, compagno inseparabile delle genti di montagna.
Si racconta così che, quando gli abitanti dei paesi del vicinato rinvennero per la prima volta la scultura miracolosa, per stabilire chi dovesse custodirla, si affidarono al giudizio divino. E caricarono la statua di legno sul dorso, appunto, di una mula, stabilendo che la Madonna col Bambino sarebbe stata ospitata nel primo paese raggiunto dall’ animale, di sua spontanea volontà (ovviamente guidato dalla mano di Dio). Ma l’animale, ben più in sintonia con la sfera soprannaturale dei suoi padroni, dopo aver effettuato un ampio giro, se ne ritornò alla radura da cui era partita, inginocchiandosi su una pietra tanto devotamente da lasciarvi ben evidenti le impronte che ancor oggi sono ben visibili, inglobate nell’ edificio sacro. Leggende senz’ altro, ma di grande fascino. Come il luogo nel quale si trova la piccola pieve, che esisteva già nel sec. IX.
Qui, da sempre, gli aspiranti fidanzati donano alle ragazze delle pine, o pigne, augurali infilate su un bastone decorato che di fatto è una proposta e un dono d’amore; e se la ragazza accetta ricambia il dono con un biscotto a forma di ciambella. Un rito antichissimo che si rinnova dove una mula si inginocchiò lasciando l’impronta delle ginocchia sulla pietra, dove un fulmine cadde scolpendo l’immagine della Vergine. Dove un vulcano dorme sotto i nostri piedi da migliaia di anni. Dove la magia domina su una natura che pare aver dimenticato le sue regole di ogni giorno.
Se vi è piaciuto questo articolo vi consigliamo Castiglione D’Orcia, paesino molto caratteristico a pochi km dal Monte Amiata.