E’ un proverbio che è facile scovare anche in altri territori. Ogni comune, ogni zona, ogni regione ha i suoi “nemici” (chiaramente, sempre con simpatia!) storici.
Le origini del detto Toscano “Meglio un morto in casa che un pisano all’uscio”risalgono ai tempi dello splendore delle Repubbliche Marinare, quando agli esattori pisani che si dirigevano a riscuotere i dazi bussando porta a porta. La repubblica pisana aveva uno statuto particolarmente evoluto ( potremmo dire moderno) in termini di diritto privato, commerciale ed amministrativo. Infatti, una voce, eccezionalmente progredita per civiltà di quel tempo, era quella di riconoscere l’abbuono fiscale, vale a dire l’esenzione dai dazi da saldare, al messo pisano che si prospettava alla porta di casa se ci fosse stato, nell’anno solare, il lutto di un componente della famiglia.
Da qui si separano due sfumature di interpretazione: la prima, afferente l’area contadina e bucolica, vedrebbe il “maiale morto in casa”, come esempio di apocalittica sciagura finanziaria, perché voleva dire aver perso quella immensa fonte di ricchezze alimentari e d’uso che l’apprezzatissima bestia garantiva nelle popolose famiglie.
L’altra corrente filologica, più credibile, riporta il detto “meglio un morto in casa che l’esattore pisano a chiedere i denari“, nella forma contratta e solitamente famosa appunto “meglio un morto in casa che un pisano all’uscio”.
A consolidare la supposizione che quest’ultima fosse la versione legittima sta il fatto che, per tradizione ovviamente vendicativa, dopo le batoste subite dai pisani nella battaglia della Meloria dalla flotta genovese, fu messa in bocca dei genovesi dagli stessi pisani, alludendo così in questa spregevole forma letteraria, ai conosciuti caratteri d’avidità e tirchieria del popolo genovese, ben ricordati anche nella famosa storia del vecchietto che si butta dal decimo piano di un edificio nel centro di Genova, e al quale il droghiere del piano terra, dando l’estremo saluto durante la pietosa opera di ricomposizione della salma, mormora”..si vede che ci aveva la sua convenienza…”.
Come si vede il recondito significato di “meglio un morto in casa che un pisano all’uscio” non si riferisce a quanto forse anche suggerito dalle storiche maledizioni dantesche ma a più argute implicazioni geopolitiche, non di meno all’ovvia impossibilità di presunte doti d’irruenza, crudeltà, aggressività, poco credibili nel popolo pisano universalmente conosciuto per baccellone, presuntuoso, apatico e inconcludente, quindi sostanzialmente inoffensivo.
La maggior parte di queste rivalità nacque per motivi ovviamente di guerre e conquiste, quando magari Firenze voleva allargare il suo territorio su altre città, spesso riuscendoci.
E detti di questo tipo esistono dai fiorentini ai pisani e viceversa, dai livornesi ai fiorentini (che d’estate “li bevano tutto il mare”) e viceversa, dai pisani ai livornesi e viceversa, e con tantissimi altri paesini della regione.
Anche Dante nella Divina Commedia scrisse “ahi Pisa, vituperio delle genti” proseguendo con altre frasi diciamo poco carine per usare un eufemismo…
Una curiosità che forse non tutti sanno è che questo detto prevede anche una risposta. Quindi, solitamente quando il livornese dice così, il pisano risponde più o meno così: Che Dio t’accontenti!
E’ a colpi di proverbi e di detti regionali che le tradizioni di una popolazione si tramandano e la storia continua a essere scritta in modi sempre nuovi e curiosi, proprio come abbiamo visto oggi.
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